Racconti

Da Fuoco Nero.

Giochi infantili

Autore sconosciuto
«Guarda, Marcus, te lo dicevo..»
«Sshhh, non urlare, sennò ci scopre!»
«Mamma dice che è un mangiatore di uomini, se ci scopre ci azzanna!»
«Si e con te che sei bello grassotello inizierà dalle dita, ti divorerà pezzo per pezzo lasciandoti in vita fino all'ultimo momento utile per avere sempre carne fresca!»
«Svelto, giù: si è girato!»

I due bambini si zittiscono, accucciati dietro la staccionata. I loro cuori battono forte nell'attesa. Dall'altra parte del legno marcio giace sotto un albero una figura incappucciata. Nulla del suo corpo è visibile se non gli occhi, profondi e penetranti come quelli di un re, fare capolino dai buchi della maschera che copre il volto. Facile immaginare il corpo cagliato di grigio sotto quel lurido telo. Facile immaginare la miseria di tale uomo che ora si rigira nel tormentato sonno. Neanche le mani sono visibili, avvolte in lunge brandelli di tessuto la cui funzione originaria è difficilmente indovinabile.

«Si è rigirato» dice il più piccolo, spiando col suo occhio vispo attraverso un foro nel legno.
«Passami il bastone»

I bambini si avvicinano con circospezione. Il viandante sta russando sonoramente quando lo iniziano a bastonare. Ridono delle sue convulsioni ma improvvisamente questo si rigira, si alza e stringe forte i due bastoni, i bambini si paralizzano a fissare i suoi occhi abissali fintanto che Egli non grugnisce loro addosso e questi fuggono impauriti, urlando. Il viandante si erge con un sonoro sospiro e modesto cozzare di ferri, in piedi, per il lungo di tutta la sua altezza, la statura non sembra soltanto fisica e all'osservatore casuale parrebbe quasi di vedere una corona di luce intorno alla sua testa, forgiata dal sole della nuova alba. L'uomo si guarda intorno, sugli alberi gli uccelli pigolano nei nidi, giù per la strada si muovono i primi contadini diretti ai campi e qualche mercenario. L'odore acre di urina riempie i polmoni mentre l'uomo espleta i bisogni mattutini sullo stesso albero che gli ha fatto da giaciglio per la notte, non senza una certa soddisfazione. Recuperato il suo fagotto raggiunge la strada e inizia a percorrerla. Ad ogni passo sbuffa e sospira.

La bocca canticchia sommessa ad un orecchio attento:
«Il giorno è lungo e il cammino anche,
il passo è lento e grigio è il viandante»

Dopo la battaglia

Quando l’uomo si risvegliò il suo volto era madido di sudore e sporco di terra. Con grande fatica riuscì a rimettersi sulle ginocchia e attorno a lui si sollevarono in volo nere ombre allungate. I corvi spaventati gracchiarono il proprio disappunto con gutturale disprezzo riprendendo a volteggiare alti nel cielo. L’uomo, ansimante per lo sforzo, fissava l’orizzonte mentre il sole scendeva rapido dietro le lontane colline coperte dalla foresta. Il suo sguardo era perso nel nulla. Di nuovo il gracchiare dei corvi a riportarlo alla realtà: l’imminente crepuscolo, gli stendardi agitati dalla brezza serale e il nauseabondo puzzo della morte sui campi intrisi di sangue e budella. Poco distante un cavallo atterrato era scosso dagli ultimi spasmi mentre le viscere si riversavano addosso ai corpi esanimi dei lancieri che gli avevano squarciato il ventre. Flebili lamenti giungevano da poco distante.
L’uomo cercò di tirarsi su, ma ricadde sulle ginocchia. Si liberò dell’elmo che gli impediva di respirare e si passò la mano sul volto coperto di sangue e terriccio. La sua curata barbetta era tutta impiastricciata. Con movimenti lenti e impacciati slacciò le fibbie dello spallaccio e dei bracciali, fissando le sue stesse dita che con macchinosa fatica eseguivano quei semplici movimenti. Raccolse da terra la stoffa di uno stendardo e lo usò per ripulirsi gli occhi. Riconosciuto il simbolo cucito sulla stoffa lo scagliò lontano. Avrebbe anche voluto sputarci sopra ma la sua gola era troppo riarsa. Così il drago a tre teste ricoprì la schiena del fante crollato al suolo dopo che il suo compagno Thorred gli aveva sfondato il cranio a colpi di mazza. Il rosso del drago si accese ancora di più, forse per il sangue che la stoffa assorbiva, forse per gli infuocati riflessi mandati dal sole al tramonto.
All’improvviso l’uomo fu conscio che doveva andarsene da quel luogo. Cercò di rimettersi in piedi ma le sue gambe non gli obbedirono. Provò con un ulteriore sforzo ma l’unico effetto fu un rigurgito di bile che gli squassò il petto. Finalmente si arrese all’evidenza che per rimettersi in piedi si sarebbe dovuto poggiare alla lunga lancia conficcatasi nel terreno alla sua destra. La lancia con cui Guy Lutrec aveva disarcionato il suo compagno d’arme Garvin durante il primo assalto. L’uomo era un guerriero e non si sarebbe arreso alla morte in questo modo, in questo luogo intriso di sconfitta e di puzzo. Digrignando i denti si rimise in piedi e guardò di fronte a sé la piana coperta di cadaveri e moribondi dove le schiere dei draghi si erano scontrate. Di Garvin non c’era alcuna traccia nei dintorni. Poco più in là qualcuno gemeva nel tormento. I corvi erano tornati a banchettare.
Il guerriero fissò l’orizzonte. In lontananza una colonna di fuoco e di fumo si sollevava dal colle dove sorgeva Wych Elm. Gli ultimi raggi del sole illuminavano le lance di un reggimento incolonnato verso Green Stone. Il guerriero sapeva che per salvarsi doveva andare in direzione opposta, ricongiungersi agli altri dispersi, raggiungere il Crocevia e di là Saltpans o meglio ancora un villaggio di pescatori, di certo più sicuro. Obbediente ai propri doveri si voltò per incamminarsi.
Il lurido ceffo del Guercio gli si presentò innanzi:
- Ben risvegliato, signore.
Un randello lo colpì in piena faccia facendolo crollare al suolo. Un calcio ben assestato nella pancia gli mozzò il fiato e quasi lo fece svenire. Si ritrovò inerme al suolo a contorcersi in una pozza di fango e sangue. Il ghigno sdentato del Guercio lo fissò dall’alto mentre uno stivale gli si puntava contro il petto per impedirgli di alzarsi. Altri uomini emersero dalle ombre della boscaglia che era alle sue spalle e rapide si mossero attorno a lui. Portavano tutti un arco a tracolla e impugnavano picche o spade. Rivoltavano corpi e disturbavano il pasto dei corvi. Rapidi prendevano ciò che poteva interessarli, raccoglievano il loro bottino.
- Hei Meel, qua ce n’è un altro!
L’uomo, un barbuto armigero dal volto butterato trascinava un ferito che a stento riusciva a mettere un passo dietro l’altro. Gli avevano annodato i polsi e con una corda lo tiravano per il campo di battaglia. Il suo volto era una maschera tumefatta di sangue e di carne. Respirava ansimando.
- Dimmi i colori, Tom – urlò sbuffando
- Dente giallo su fondo blu – rispose quello che aveva parlato mentre la voce rauca di un arciere spilungone lì vicino sentenziò – È mescio proppio male.
- Fossero messi bene non sarebbero qua, Lem. – Gridò il Guercio di rimando
- Chi cazzo è? - urlò Meel dando uno strattone alla corda – eh?
- Un Lefford… deve essere un Lefford – rantolò il prigioniero richiamato alla realtà dallo strattone.
- Cazzo, uno dei nostri – ringhiò il Guercio – Invece questo qua ha un calice su nero e un fiore su oro.
Meel fece due passi verso il suo prigioniero, gli afferrò il collo con la sua mano da fabbro e gli urlò in faccia:
- E quell’altro chi è, pezzo di merda? Se non lo sai non ci servi a niente, cazzo!
Il prigioniero respirava a fatica, a bocca aperta. Il suo naso era stato mozzato da un colpo d’ascia.
- È… è un Costayne… Quello è un Costayne – respirò affannosamente quando Meel lasciò la presa e poi si lasciò cadere sulle ginocchia sollevando schizzi di fango
– Se il fiore è una rosa… allora è un Costayne… su campo oro. Erano sull’ala… a destra
Meel scoppiò in una fragorosa risata.
- Hey Ross, è una rosa quella?
- E che cazzo ne so io Meel? Sì, per me è una rosa. – il Guercio squadrò per bene il guerriero riverso al suolo – Comunque è tutto di ferro, è un cavaliere questo qua.
- E il tuo, Tommy? - Nella voce di Meel una venatura di speranza - Dimmi che è un cavaliere pure il tuo…
- Naaaa… questo qua mangia cipolle come noi.
Meel si grattò le natiche e bevve un sorso d’acqua da una borraccia. Ne versò anche un poco sulla faccia del suo prigioniero.
- È tutto tuo Tommy, sei contento? Tu Ross tirati dietro il tuo… può valere qualcosa.
Tom guardò l’armigero disteso inerme al suolo. Il suo sguardo stolido si posò sulle gambe intrappolate sotto il corpo del cavallo sventrato. Una profonda ferita si apriva nella pancia del moribondo che respirava affannato. Il suo sguardo era già perso nel vuoto. Le mani del ferito trattenevano le viscere. Nel frattempo il Guercio stava tirando su il suo uomo:
- Sei fortunato amico – gli sussurrò nelle orecchie – e noi ancora di più…
Il guercio sollevò Ser Rickard ridacchiando mentre Tom si toglieva l’elmo per grattarsi la testa. Perplesso cercò lo sguardo di Lem. L’arciere sputò per terra.
- Ed io che me ne faccio di questo qua, Lem?
- Gnon te gne fai proppio gnente, a meno che gnon vuoi sciopartelo – bofonchiò l’arciere ridacchiando. Tom lo guardò con l’espressione più stupida di cui era capace. Scosse la testa e rimessosi l’elmo si allontanò:
- Con i soldi che ci facciamo mi scopo tua madre.
Sempre ridacchiando Lem raccolse una mazza da terra:
- Scei sciolo sceterco Lem… lo lasci coscì…
Con un colpo ben assestato sfondò il cranio del moribondo, ponendo termine alla sua sofferenza. Gettata l’arma seguì il compare.
- Ehi, datemi una mano – gridò il Guercio
Tom e Lem si affrettarono a raggiungerlo e ad aiutarlo a trascinare il cavaliere. All’improvviso due uomini emersero di corsa dalla boscaglia. Sbracciavano e gridavano.
- Nel bosco! Nel bosco!
Tutti si voltarono a guardarli. Altri tre uomini emersero dalla boscaglia. Se ne erano rimasti lì tutto il tempo nascosti a coprire un’eventuale fuga precipitosa.
- Che succede? – gridò Meel facendo tirare su il suo prigioniero.
I nuovi arrivati continuavano a correre, ansimando per la fatica:
- Gli uomini di Rivers!
Lem e il Guercio si scambiarono un’occhiata:
- Sce ci beccano sciamo morti. – Lem afferra il cavaliere
- Cazzo dobbiamo muoverci! – Il Guercio se lo carica sulle spalle
Assieme si affrettano verso gli alberi. Tom sta già correndo a gambe levate. Anche le tre vedette sono tornate a nascondersi tra le fronde.
- Via! Di corsa! - Meel gridò ai suoi precipitandosi verso la boscaglia e tirandosi dietro il suo prigioniero – Muoviti o ti ammazzo!
Poco dopo il drappello di esploratori entra nel campo visivo degli uomini di Meel. Una ventina di uomini a piedi e due a cavallo. Uno dei due cavalieri regge il vessillo di Brynden Rivers, il condottiero che ha sconfitto il valoroso Daemon. Sono i vincitori della battaglia di Redgrass Field.
- Non cercano noi – sussurra il Guercio nelle orecchie di Lem.
L’altro lo guarda, bianco in volto. Tiene una lama contro il collo del cavaliere. Dal canto suo il nuovo prigioniero è svenuto ma l’arciere non se ne è accorto. Poco distante Tom sta appoggiato con la schiena a un grosso tronco, rigido, con i muscoli pronti a scattare. Gocce di sudore scivolano lungo il suo viso. Meel invece si è ficcato dentro un cespuglio con il suo uomo. A scanso di scherzi lo ha colpito alla testa facendogli perdere i sensi. Incrocia lo sguardo di Tom e gli fa l’occhiolino. Pensa:
- Battono la piana cercando gli sbandati. Siamo salvi… e siamo ricchi.

Storie da Stone Hedge

Un menestrello entra nella taverna dell'uomo inginocchiato porta con se una notizia troppo ghiotta per potersi contenere.
"Udite udite! Il destino della casata Bracken si è oggi rotto", dice tutto di un fiato lo strillone.
La taverna silenziosa si anima di clamore ed un astante chiede con voce possente: "Rotto? Parla chiaro buffone! Ti offrirò del vino per farti cantare."

Il menestrello allora inizia a raccontar gli avvenimenti in tema di poema epico:
"Nelle lande di Stone Edge più di una lacrima versata,
Otho Bracken si è tolto la vita con una lama affilata,
i due figli con i lor uomini han lord Blackwood pugnato
e su di loro il tristo mietitore è velocemente calato."

Lo strillone prende allor un istante prendendo il vino portatogli in omaggio lasciando spazio alle domande del suo avventore:
"Come fai a saperlo? Chi li ha trovati?
Questi quesiti con argento saran pagati".

Il menestrello allor compito con un sorriso gli rispose:
"Lord Roger Blackwood giunse il giorno prima al calare,
gli uomini di Bloodraven fino al mattino dovettero aspettare,
non han potuto che constatar la somma follia di un topo,
che intrappolato in questa storia non aveva un poi o un dopo."

Detto ciò il menestrello raccoglie una moneta d'argento, si inchina al pubblico, sorride e si congeda.

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